Ha venduto milioni di dischi, tutti lo conoscevano, nessuno ammetteva di ascoltarlo.
Il suo più grande successo è stato quasi cantato da qualcun altro, Adriano Celentano, anche lui un grande nome dello spettacolo italiano. Ma non volle, come disse in televisione Totò Cutugno diversi anni dopo. Cutugno ha detto di aver scritto “L’Italiano” per un amico. “Non la canterò,” rispose Celentano, “non posso cantarla perché sono un vero italiano, un vero italiano, la gente lo sa.” Non voleva enfatizzare l’ovvio.
La canzone è una sorta di ritratto dell’Italia ed è composta da una serie di cliché italiani: calcio, caffè, amore, spaghetti al dente. Subito dopo essere stato presentato al mondo, da Cutugno tra l’altro, non da Celentano, iniziò una marcia trionfale intorno al mondo. Il successo ha venduto milioni di copie. Non c’è pizzeria al mondo che non includa “L’Italiano” nella sua playlist, ancora oggi, a quarant’anni dalla sua nascita.
Canzone per Joe Dassin e Dalida
Cutugno, morto martedì a Milano all’età di ottant’anni, era la perfetta incarnazione del sogno italiano di crepacuore, eterna estate e leggerezza. “Totò e la sua musica fanno parte dell’immaginario collettivo degli anni Ottanta e Novanta. Era un meme prima che esistessero i social network, un aforisma, un cliché di per sé,” scrive il “Corriere della Sera”.
Cutugno è nato nel 1943 a Fosdinovo, un nido nella provincia di Massa-Carrara in Toscana. Gli Alleati stavano per sbarcare in Sicilia e mancavano ancora pochi giorni alla caduta di Benito Mussolini. Ha scoperto la musica da adolescente. Il padre, caporale di marina, riconobbe il suo talento e lo assunse subito come batterista nella città della musica di La Spezia.
Da allora Cutugno è rimasto fedele alla musica. Inizialmente si cimentò come membro di una band, poi dagli anni ’70 in poi si esibì come solista e anche come autore di canzoni scritte per altri. La sua clientela entrò presto a far parte dei vertici del settore, sia in Italia che all’estero: oltre a canzoni per Celentano, scrisse canzoni per Joe Dassin, Johnny Hallyday, Michel Sardou, Mireille Mathieu e Dalida.
Anche la sua carriera è in ascesa. Ha preso parte all’annuale Festival dei successi di Sanremo 15 volte. Nel 1980 lo vinse con “Solo noi”, dopo il quale arrivò solitamente secondo nella capitale della canzone italiana. Anche con “L’Italiano” non è arrivato sul gradino più alto del podio.
D’altronde è – insieme a Gigliola Cinquetti e ai Maneskin – uno dei tre italiani ad aver vinto l’Eurovision Song Contest. Con “Insieme” torna a riscuotere grande successo nel 1990, una sorta di inno alla crescita condivisa dell’Europa. Cutugno riconobbe rapidamente e abbracciò lo zeitgeist successivo alla caduta del Muro. Dopodiché le cose per lui si sono calmate e recentemente è diventato una star nell’Europa dell’Est e in Russia.
Non c’è pizzeria che non abbia questo titolo nella sua playlist.
Democrazia Cristiana dalla canzone
I principali giornali scrissero il giorno dopo la sua morte che era un “artista del popolo”. Erano parole rassicuranti per qualcuno che era sempre stato visto con sospetto dalla critica professionale. Cutugno soffrì per tutta la vita di pregiudizi e fu evitato dagli intellettuali.
Certo: non aveva le marachelle di Lucio Dalla, non cantava ballate profonde come Fabrizio De André, non era un poeta come Francesco de Gregori. E quando il già citato “Spaghetti al dente” venne introdotto ne “L’Italiano”, il suo più grande successo, tanto da far rima con “un partigiano come Presidente”, quasi fece male.
Ma le canzoni di Cutugno rispecchiano anche il sound degli anni Ottanta e Novanta, la gente ama lui e le sue melodie. Il fattore freschezza tende a zero, ha scritto Andrea Laffranchi, critico musicale “Corriere”. Anche così, ha venduto più di cento milioni di album. Secondo Laffranchi Cutugno è come la Democrazia Cristiana della canzone, come il partito più importante d’Italia nel dopoguerra. Nessuno dice che gli piaccia, ma tutti lo scelgono.
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