Notizie | Distopia post-apocalittica raggiunta

Il mondo come lo conosciamo non esiste più: la società è disordinata e non c’è ordine né regole. Un virus ha distrutto il pianeta, uccidendo gli adulti. I bambini vivono in branchi selvaggi, litigando per gli avanzi di cibo rimanenti. Sono immuni fino alla pubertà, quando iniziano a soffrire della “rossa” (rossa), che chiamano lentiggini che provoca febbre e alla fine la morte. Allo stesso tempo, la natura si è ripresa ciò che un tempo era suo, ricoprendo le città con la sua vegetazione.

È questa l’inquietante premessa di “Anna”, il bestseller letterario italiano di Niccolò Ammaniti (1966) che lo stesso autore ha trasformato in una miniserie televisiva di sei episodi ora visibile su AMC. La distopia post-apocalittica suona come una profezia, soprattutto se la consideriamo del 2015, quando nulla ci permetteva di prevedere la pandemia del Coronavirus.

La trama è ambientata nell’isola italiana della Sicilia, dove Anna (Giulia Dragotto), una ragazza di 13 anni che ha visto tutto scomparire quattro anni fa, si prende cura della sorella Astor (Alessandro Pecorella), le insegna a leggere e segue le istruzioni di un taccuino con rilegatura marrone scritto dalla madre per loro sotto il titolo “Cose importanti”, dove ha scritto istruzioni utili per la sopravvivenza. C’erano leggende di sopravvissuti anziani nel continente, stavano preparando medicine ed era solo questione di combattere fino al loro arrivo. Ma non avendo tempo per questo, la ragazza decise di recarsi a Palermo e poi a Messina, con l’obiettivo di attraversare lo stretto e trovare un modo per salvarsi. Anche se il viaggio è pieno di sfide e avventure in questo universo senza speranza, gli adolescenti trovano sempre un modo per andare avanti. Fino a quando Astor non viene rapito da un gruppo di ragazzi che si definiscono ‘blues’.

Per i lettori che amano la letteratura, è facile fare parallelismi, per i mali degli uomini, con il famoso romanzo “Il signore delle mosche” (1954) dell’inglese William Golding, e anche, per l’importanza dei viaggi, con “The Road” (2006) di Cormac McCarthy dall’America.

Protagonisti giovani talenti, portando la verità alla storia, la proposta ha una mancanza di ordine estetico a suo favore, è quasi da documentario, e si può solo criticare che, a differenza dei clamorosi adattamenti che sono stati ampliati, qui Ammaniti includa troppo nel modo diversi capitoli. Tuttavia, come intrattenimento, ne vale la pena.

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Elena Alfonsi

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