L’udienza generale di questa mattina si è tenuta alle ore 9.00 nell’Aula Paolo VI, dove il Santo Padre ha incontrato gruppi di pellegrini e fedeli provenienti dall’Italia e dal mondo.
Nel suo discorso in italiano letto dall’arcivescovo Filippo Ciampanelli, il Papa ha proseguito il ciclo di catechesi Passione per l’evangelizzazione : lo spirito apostolico dei credenti, concentrando le loro riflessioni sul tema” L’annuncio è per oggi » (1 pi 3, 15-16).
Dopo aver riassunto le sue catechesi in diverse lingue, il Santo Padre ha rivolto un saluto speciale ai presenti. L’udienza generale si è conclusa con la lettura del Pater Noster e la benedizione apostolica.
Di seguito vi riportiamo il testo pronunciato dal Santo Padre, che abbiamo tradotto dall’italiano.
Cari fratelli e sorelle,
Abbiamo visto prima che cosa è l’annuncio cristiano gioia e basta per tutti ; oggi analizziamo il terzo aspetto: lo è per oggi.
Sentiamo quasi sempre dire cose brutte riguardo a questo giorno. Naturalmente, con la guerra, il cambiamento climatico, l’ingiustizia e la migrazione globale, le crisi familiari e le crisi di speranza, c’è sempre motivo di preoccuparsi. In generale, l’epoca attuale sembra essere abitata da una cultura che pone l’individuo al di sopra di tutto e al centro di tutto la tecnologia, con la sua capacità di risolvere molti problemi e grandi progressi in molti campi. Ma allo stesso tempo, questa cultura del progresso tecnico-individuale porta ad un’affermazione di libertà che non vuole limitarsi e non si preoccupa di coloro che sono lasciati indietro.
Così facendo, introduce le grandi aspirazioni dell’umanità nella logica di una visione spesso rapace della vita, che esclude chi non produce e tende a trascendere l’immanente. Potremmo addirittura dire che siamo nella prima civiltà della storia che ha tentato a livello globale di organizzare la società umana senza la presenza di Dio, concentrata in megalopoli rimaste orizzontali nonostante la vertiginosa presenza dei grattacieli.
Viene in mente la storia della città di Babilonia e della sua torre (cfr. Monte 11, 1-9). Racconta la storia di un progetto sociale consistente nel sacrificio di ogni individualità per amore dell’efficienza collettiva.
L’umanità parla una sola lingua – si potrebbe dire che abbia “una sola mente” – come racchiusa in una sorta di incantesimo comune che assorbe l’unicità di ogni persona in una bolla di uniformità.
Quindi Dio confonde le lingue, in altre parole, ristabilisce le differenze, ricrea le condizioni che permettono alla singolarità di prosperare, rimette in atto la diversità laddove l’ideologia vuole imporre la sua unicità. Dio ha distratto anche l’umanità dal delirio di onnipotenza: “ facciamoci un nome », dice il grande abitante di Babilonia (v. 4), che voleva ascendere al cielo, per mettersi al posto di Dio. Ma queste sono ambizioni pericolose, alienanti e distruttive, e Dio, confondendo queste speranze, protegge l’umanità, scongiurando il disastro previsto. Questa storia sembra particolarmente attuale oggi: anche oggi la coesione, più che la fraternità e la pace, si fonda spesso sull’ambizione, sul nazionalismo, sull’omologazione e su un assetto tecnico-economico che infonde la convinzione che Dio sia insignificante e inutile: non perchécerchiamo più conoscenzama soprattutto per una maggiore forza. Questa tentazione è onnipresente nelle grandi sfide culturali di oggi.
Nel Evangelii gaudiumHo cercato di spiegarne alcuni (cfr n° 52-75), ma soprattutto ho chiesto “ un’evangelizzazione che illumina nuovi modi di relazionarsi con Dio, con gli altri, con l’ambiente, e che suscita valori fondamentali. È importante raggiungere i luoghi dove prendono forma nuove storie e paradigmi, per raggiungere con la Parola di Gesù il nucleo più profondo dell’anima della città. » (n. 74). In altre parole, possiamo annunciare Gesù solo abitando la cultura del nostro tempo e ricordando sempre le parole dell’apostolo Paolo riguardo al presente: “ Ora è il momento buono, ora è il giorno della salvezza » (2 Insieme 6.2). Non è quindi necessario contrapporre al presente altre visioni del passato. Inoltre, non è sufficiente riaffermare semplicemente le credenze religiose esistenti che, sebbene vere, sono diventate astratte nel tempo. Una verità diventa più credibile non perché alziamo la voce quando la diciamo, ma perché la testimoniamo con la nostra vita.
Lo spirito apostolico non è semplicemente una ripetizione di stili esistenti, ma una testimonianza che il Vangelo è vivo per noi anche oggi. Consapevoli di ciò, consideriamo il nostro tempo e la nostra cultura come un dono. Sono nostri ed evangelizzarli non significa giudicarli da lontano, e nemmeno stare su un balcone a gridare il nome di Gesù, ma uscire per le strade, andare nei luoghi dove vive la gente, frequentare i luoghi dove vive la gente che soffre, lavorando, imparando e pensando, abitando il crocevia in cui gli esseri umani condividono ciò che è significativo per la loro vita. Ciò significa essere, come Chiesa, “ agitazione del dialogo, dell’incontro, dell’unità. Dopotutto, la formulazione della nostra fede è il frutto del dialogo e dell’incontro tra diverse culture, comunità e istituzioni. Non dobbiamo aver paura del dialogo: al contrario, sono proprio il confronto e la critica che ci aiutano a evitare che la teologia si trasformi in ideologia. » (Intervento al V Convegno Nazionale della Chiesa ItalianaFirenze, 10 novembre 2015).
È importante trovarsi oggi a un bivio. Abbandonarli impoverirebbe il Vangelo e renderebbe la Chiesa solo una setta. Al contrario, la partecipazione a tali eventi aiuta noi cristiani a comprendere in modo nuovo le ragioni della nostra speranza, a cogliere e condividere i tesori della fede. cose nuove e cose vecchie » (MT 13, 52). Insomma, più che voler cambiare il mondo oggi, dobbiamo farlo cambiare la pastorale per meglio incarnare il Vangelo nel mondo di oggi (cfr. Evangelii gaudium, 25). Facciamo del desiderio di Gesù il nostro desiderio: aiutare i viandanti a non perdere la nostalgia di Dio, ad aprire a Lui il cuore e a trovare l’Unico che, oggi e sempre, dona pace e gioia all’uomo.
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